Suggerimenti da quarantena: 2 favole agrodolci di Lars Von Trier
- Squeezito Mug
- 1 apr 2020
- Tempo di lettura: 3 min
Lars Von Trier è un regista-artista crudo: ci ha abituato alla sua creatività attualizzata su tematiche forti e disturbanti, inondando le sue pellicole di pessimismo e soluzioni apocalittiche. Charlotte Gainsbourg, sua musa, attrice protagonista di numerosi film, si presta versatilmente a rappresentare i suoi difficili personaggi, da Nymphomaniac fino all’ancora più conturbante Antichrist. Bjork è la personalità reale che più genuinamente poteva adattarsi alla rappresentazione finzionistica del personaggio di Selma di Dancer in the dark, fatta di ingenuità e di istinto.
Senza la presenza di un ridondante apparato hollywoodiano, senza l’epica e il clamore e la spettacolarità che caratterizzano l’industria cinematografica statunitense (Von Trier è danese e un anarchico del cinema), egli si propone come un regista e uno sceneggiatore vero, che scrive senza parole scontate, senza patetismi, non disdegnando tuttavia le conversazioni semplici. Ciò che piace di Lars Von Trier è il non scontare la malignità e la morte anche ai personaggi buoni (e nemmeno ai bambini, come avviene proprio all’inizio di Antichrist), o ritenuti tali fino ad un punto inoltrato della storia. Non si cade in clichè cinematografici (se non magari nei suoi clichè) nella caratterizzazione dei personaggi e non risparmia il lato amaro delle vicende. I difficili personaggi dei film rispecchiano il tumultuoso ma fragile temperamento del regista stesso (dal quale più di un attore ha preso le distanze dopo la fine delle riprese), non a caso una non piccola fetta di cinefili lo accusa di estremo egoismo e autocelebrazione. Senza d’altro canto giustificare né stigmatizzare questo, ma leggendo la sua esperienza personale nella sua trasposizione creativa, ciò è in qualche modo la prova della singolarità delle opere di Lars Von Trier, che senza dubbio possiedono un estro originale.
Così, in queste settimane di domesticità forzata voglio suggerire due titoli del regista che, ad ogni modo, propongono la sua creatività e la sua visione in racconti di stile favolistico e “softcore”, per chi come me proveniva da un battesimo vontrieriano più “hardcore”, e che proprio per questo motivo mi hanno positivamente sorpreso.
Il primo è Dogville, nel quale si è presto calamiticamente catturati all’interno del racconto dalla bellezza di Grace (Nicole Kidman). Io personalmente, piuttosto, sono stata rapita fin dal primo secondo dalla veduta d’insieme di Dogville, villaggio che costituisce l’ambientazione del racconto, ricreato su un ampio “palco” nero con poche linee demarcatorie e pochi rilevanti oggetti e arredi di scena a rappresentare le abitazioni, una semplicità che consente allo spettatore di introdursi nel contesto senza dove superare sovrastrutture e risolvere cavilli. Il tutto è circondato da uno sfondo nero o bianco a seconda delle fasi della giornata. La trasparenza degli abitanti di Dogville va in parallelo con l’assenza cioè con la trasparenza dei muri delle case. La poesia della narrazione inizia qui ed è qui ben rappresentata ed è qui che anche finisce con un’apocalisse finale (di cui evito lo spoiler), risultato dello svelamento della finzione della bontà (quella stessa bontà che accomuna Grace a un altro personaggio di Von Trier, Bess di Le onde del destino, con la quale entrambe sono destinate a soccombere a causa della meschinità del mondo), dello smascheramento del buonismo e dell’apparente ingenuità di una cittadina che non conta nemmeno 25 abitanti, la quale sembra immune a qualsiasi mutamento ma che si rivela non immune alla brutalità della natura umana.
Secondo film e secondo consiglio è Melancholia. In questa pellicola due sorelle vivono la dissoluzione delle loro certezze: Justine, personaggio complesso e interessante dagli echi mitologici, lascia il marito durante il festeggiamento del matrimonio, la sorella premurosa Claire si trova a non poter più far affidamento sulla bontà per farla franca di fronte a un pianeta in rotta di collisione con la terra. Durante il film, si festeggia, si beve, si litiga, si fa sesso, si dorme, ma soprattutto si aspetta un’irreversibile fine, nel lusso di una tenuta di campagna. Quasi il film pecca di una mancanza di trama. Come affermato dal regista in occasione dell’uscita del film, la suspance non è un elemento che si voleva rendere parte del film, da qui si può rendere noto con un non-spolier che il pianeta Melancholia impatterà con certezza con la Terra, in questo modo il finale è scritto già dal prologo. Il film, in particolare la seconda parte, è tutto volto quindi all’attesa di una fine già prevista e a noi sta la scelta se abbandonarci a quest’attesa senza scampo o a cambiare film. Nonostante tutto, d’impatto la carica esplosiva del finale.
Buona visione!
Michela Pedranti
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