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Quarantine crush: Matt Damon edition

Non è di mia madre il volto che più ho visto in questa quarantena. Non è il mio cane la creatura che più è passata sotto ai miei occhi. Non sono stata io, che era meglio non passassi davanti agli specchi. È Matt Damon. Lui. Un’intangibile figura che all’improvviso diventa l’onnipresente, l’idolo venerato.



Qualche ragione, vicissitudine della vita o non-interesse mi ha portato a non vedere mai prima del marzo 2020 un film con Matt Damon con la consapevolezza che ci fosse Matt Damon. Anzi, si: The Departed, ma è davvero come se tutte le attenzioni fossero poste su qualcun altro…

Cosa è successo al mio mondo per far sì che tra i pur tanti film che da quel fatidico inizio pandemia ho guardato ci fosse quasi l’intera sua filmografia? Premetto: non l’ho cercato per nulla. Ma dopo tre o quattro ho iniziato a farlo apposta, i miei occhi hanno iniziato a gioire, e anche quando non lo facevo di proposito è successo che comunque me lo sono ritrovata nel raggio d’azione di una cinepresa. Ho riguardato Interstellar, e per la seconda volta la conclusione non mi è del tutto arrivata. Solo ora, però, ho trovato Matt Damon. Si, la prima volta lui sarà stata un’ombra nel film, o io sarò stata troppo presa nel cercare di capire i meccanismi narrativi di Christopher Nolan.


Dopotutto, se fossi partita da una delle ultime pellicole da lui girate, dubito che questa catena della morte e dell’amore sarebbe mai iniziata. Ma il sorriso del giovane ventinovenne ne Il talento di Mr Ripley mi ha colpito dritto al cuore. Ho provato la stessa sensazione di quando, dodici anni fa, sognavo guardando Edward Cullen fare il figo maledetto per Forks. In questo periodo di assenza di sensazioni, di chiusura non solo tra le mura di casa ma anche tra la propria unica individualità, di contatti vietati che, se scambiati, sono scambiati per via aerea a un metro di distanza e sotto dei guanti in lattice, i colpi di fulmine platonici sono uno svago e un’iniezione di endorfine (E questa mia considerazione è degna di Cioè dei tempi che furono). L’assenza di presa con la realtà fa sviluppare nella mente sovrastrutture e castelli. Ci creiamo amori immaginari (didascalicamente vedi: Les amours imaginaires di Xavier Dolan), relazioni unilaterali. Dante, Beatrice, e la religione in generale, per esempio. Ci innamoriamo di idee e di fantasmi, produciamo una realtà simulata che, in questo preciso momento storico, è più concreta della supposta realtà, dell’irreale pandemia in atto. Sono i cosiddetti film mentali, quelli che hanno visto sfumare per un soffio migliaia di Oscar.



La mia cotta per Matt Damon infatti non è che un’invenzione, poichè non è rivolta all’attore di oggi, quanto alla sua traccia di giovane lasciata su ormai impolveratissime pellicole, come e avvenne per altre decine, Alain Delon, Marlon Brando es. Né è una cotta giustificata dalla sua bravura di attore (anche se buona parte è generata dai suoi primi personaggi ingenui ed egoisti, e per questo quasi amabili), ma la prescinde, e mi diverto. Ora quel ciuffo è diventato una spazzola e il biondo sta virando verso il grigio. Sicuramente sono arrivata tardi nel club delle grupies, ma in tutta sincerità prima proprio non lo vedevo (in senso figurato) e, oggettivamente, all’epoca di Good Will Hunting e Mr Ripley ero a malapena nata…Ultimo step sarà, per amor (immaginario) suo, superare la (mia) barriera del pregiudizio riguardo i film d’azione...Jason Bourne a noi due.



E tu? Qual è la tua “cotta da quarantena”?

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